sabato 28 giugno 2014

Mr. Spock's Music from Outer Space: intermezzo musicale

Per mantenere l'attenzione sulla scomparsa di Casey, uno dei suoi album preferiti!

Buon weekend cari campeggiatori, questa sera voglio proporvi un album particolare: si tratta del mitico Leonard Nimoy Presents Mr. Spock's Music From Outer Space [sic], anno 1967. Primo (ma non ultimo!) album del buon vecchio Nimoy, nato sull'onda del successo del suo personaggio nella Serie Classica, credo che non potesse non comparire tra gli intermezzi dedicati a Hidden Creek.


Il mio brano preferito dell'album è sicuramente quello intolato A Visit to a Sad Planet: la narrazione di Spock riguardo un mondo distrutto dalla follia dei propri abitanti e l'incontro con l'ultimo dei sopravvissuti. Molto più toccante di quanto uno non si aspetti:



Come seconda proposta invece un simpatico brano strumentale dal titolo Music To Watch Space Girls By,  cover in chiave fantascientifica di Music To Watch Girls By di Bob Crewe (siamo negli anni Cinquanta):



Al prossimo aggiornamento! 

venerdì 27 giugno 2014

HIDDEN CREEK LOG #10: LINCOLN MARKET


HIDDEN CREEK LOG #10: LINCOLN MARKET

A pochi metri dai quattro ragazzi impauriti, l'essere respira profondamente: un respiro potente ma allo stesso tempo affannato. D'improvviso, vengono percorsi da un profondo brivido, come se la temperatura stesse calando vertiginosamente. La pioggia che continua a cadere, d'un tratto sembra essersi fatta più consistente, grumosa. 
Sembra nevischio.
Henry, preso coraggio, si rivolge direttamente all'apparizione: "Dicci chi o cosa sei! Per favore, abbiamo bisogno di risposte!"
L'essere gigantesco comincia ad avvicinarsi ulteriormente: i suoi piedi, consumati fin quasi alle ossa, pesantemente strisciano sull'asfalto eroso del vicolo abbandonato producendo uno stridio sinistro. Ad ogni passo, il nevischio continua a cadere sempre più fitto. Ormai a una manciata di metri di distanza, l'essere tenta di comunicare: le sue grandi braccia scheletriche si allungano entrambe in avanti porgendo, con questo gesto solenne, quello che pare essere un saluto. Non sono comprensibili le intenzioni di questa creatura venuta da un luogo così remoto eppure così vicino, ma, in quel preciso istante,  in lontananza la luce di una torcia si scorge tra i vecchi edifici abbandonati.
John cerca di imitare l’essere: forse rispondere al saluto può aiutarli a stabilire un contatto; Henry compie il medesimo gesto. 
Alla vista dei movimenti mimati, l'essere si toglie il pesante cappuccio calcato sopra il suo capo mostrando infine le proprie fattezze: lunghi capelli bianchi, che si confondono ad una pelliccia dello stesso colore, incorniciano un volto dalla pelle rattrappita; piccoli occhi incavati nel tessuto ormai mummificato osservano con sguardo alieno il gruppo. Quella grande bocca, priva di labbra,  si spalanca mostrando due file di denti acuminati emettendo un sibilo ghiacciato che risuona come un avvertimento.
Non una voce, ma il suono del freddo vento che soffia tra gli alberi della foresta negli inverni più rigidi.
John spera ancora che la creatura possa non essere aggressiva e cerca di sembrare rassicurante: "Aspetta, vogliamo solo parlare, non siamo nemici..."
Henry: "Vogliamo solo sapere chi sei... Perché succedono queste stranezze?"
L'apparizione, alle parole dei due giovani, che risuonano flebili nel vento d'Inverno, compie un balzo in avanti. Le enormi mani rattrapite  dai lunghi artigli affilati, con tutta la rapida violenza che sono in grado di sprigionare, si muovono fulminee verso di loro.
John e Henry si scansano di lato mentre l'essere prosegue il suo scatto furioso contro chi non è riuscito a reagire tempestivamente.
Diane, a un passo di distanza, osserva impotente gli artigli del mostruoso essere conficcarsi nelle sottili e sinuose braccia di Rebecca.
Un urlo di dolore sovrasta il rumore del vento.
La sorella di Casey non può che gettarsi a terra nel disperato tentativo di allontanarsi il più possibile.
"Rebecca!" John getta il suo zaino contro il mostro, sperando di distrarlo dalla ragazza.
L'essere lo schiva istintivamente mollando la presa: il sangue di Rebecca scorre copioso mischiandosi con la neve fresca, le sue braccia presentano delle profonde lacerazioni.
Henry estrae la pistola e la punta verso la creatura, intimando con tono deciso:"Fermati!"
L'ignoto aggressore si volta verso Henry al suono della sua voce: sembra intentere quelle parole, o forse sta studiando il piccolo uomo che le sta pronunciando.
Rebecca, riversa sul suo stesso sangue, è in preda a degli spasimi mentre l'essere si posiziona con un solo lungo passo tra lei e gli altri tre giovani.
Malgrado il freddo innaturale Henry è coperto di sudore: "Ora allontanati!"
La grande mano scheletrica con uno scatto fulmineo afferra Rebecca per la testa, sollevando la giovane, ormai priva di conoscenza, da terra.
Henry estrae la chiave del Giardino impugnandola con una mano: "Lasciala andare!"
La creatura avvicina la mano libera verso di lui, come per voler prendere la chiave.
John si rivolge all'amico: "Attento, non ti avvicinare troppo!"
Henry: "Vuoi questa? Lasciala andare e dacci delle informazioni!"
John si avvicina anch'esso all'apparizione e cerca di farle capire di voler prendere Rebecca.
Come lo zaino lanciato poco prima, la creatura scaglia il corpo esanime di Rebecca, la potenza è tale da scaraventare la ragazza direttamente tra le braccia del figlio dei VanDreel.
John stringe tra le braccia Rebecca, pallida e ormai in fin di vita, con tutte le sue forze tenta di allontarnasi da quel maledetto vicolo.
L'essere con un altro grande passo è di fronte a Henry: l'imponente statura sovrasta il giovane, la sua mano è tesa a cercare di prendere la  piccola chiave.
Henry, continuando a puntare la pistola contro l'imponente bersaglio, ritrae la mano con la chiave: "Non ancora! Se sei un essere senziente e dotato di intelligenza, rispondi alle nostre domande! Puoi comunicare con noi?"
"Non può: spechi il fiato, Henry." Una voce nella piccola tormenta di neve.
Dall'oscurità della notte, la luce che incedeva appena visibile in lontananza è ormai all'imboccatura del vicolo. Davanti a John, con Rebecca tra le braccia, una compare una figura familiare: con la sua solita espressione tra l'annoiato e il sarcastico, Ron si piazza all'ingresso del vicolo. Il giovane regge una torcia elettrica in una mano e, nell'altra, un fucile da caccia. Quel fucile che si trova dietro al bancone dell'emporio di famiglia. Alla voce di Ron, l'apparizione quieta smette di tentare di comunicare con Henry.
"Ron...?" John, sorpreso, stringe istintivamente a sé Rebecca: "Dammi una mano, dobbiamo portarla in ospedale!"
Ron lascia cadere la torcia per terra e, imbracciato il fucile con due mani, lo punta contro John: "Non così in fretta, Jo."
Henry si volta verso il nuovo arrivato: "Ron, cosa cazzo fai?!"
John è impietrito: "Cosa stai facendo?"
Il biondiccio Ron, la cui carnagione cadaverica appare ancora più grigia nella scarsa luminosità dalla notte, si limita a dire: "Posa la ragazza e stenditi a terra vicino a lei." poi, a voce più alta: "Henry, Diane, fate lo stesso se non volete che pianti una pallottola in testa al caro Jo."
Diane, che per tutto il tempo è stata dietro all'amico, trattiene a stento la rabba, mista con la paura: "Ron, pezzo di merda..." esclama prima lanciare uno sguardo a Henry, il quale si stende senza reagire a terra. La giovane fa lo stesso nel freddo gelido e nell'umiliazione.
John obbedisce lentamente: "Ron, ti prego! Rischia di morire dissanguata se non la portiamo in ospedale..."
Ron, in tono glaciale: "Non temete, non mi servite molto da morti."
Il giovane negoziante del Licoln Market, lo spaccio di Hidden Creek in fondo a Maple Avenue, si limita a fissare i quattro a terra prima di fare un cenno al misterioso essere.
John, Henry e Diane, a faccia nella fanghiglia prodotta dal nevischio, sentono di stare perdendo conoscenza: una sesazione di vuoto, quel vuoto dei loro ricordi.
In un ultimo sforzo disperato, John si rivolge all'essere: "Ti prego, aiutaci..."
Henry in un ultimo scatto di orgoglio, impugna nuovamente la pistola dell'agente Prince tenta di puntarla verso Ron:"Fermati, non costringermi a farlo!"
Ma vista si affievolisce, concentrarsi sul presente diviene sempre più difficoltoso.
Diane è ormai priva di sensi.
Henry con un filo di voce sussurra alla creatura: "Smettila!"
John: "Henry, fermalo..."
Nell'ultimo appiglio di coscienza, Herry spara alla cieca verso la creatura.
L'ultima cosa di hanno ricordo, è il proiettile che perfora la gigantesca creatura.
John fa a tempo a vedere l'essere incassare il colpo e sollevare Diane e Henry da terra portandoli via prima di chiudere gli occhi.
Poi, più nulla.

Buio e freddo.
Un ronzio insistente, il ronzio di una luce elettrica, li accoglie al loro risveglio. Immediatamente, provano la chiara sensazione di essere legati mani e piedi con strette catene, sospesi senza poter poggiare i piedi a terra. D'un tratto, tutta la fatica accumulata in quei giorni  li assale, così come un dolore attanagliante alla testa. Come nel risvegliarsi da una specie di letargo, possono aprire gli occhi.
John si guarda intorno faticosamente.
Il freddo che lo tormenta, subito lo riporta alla realtà del luogo: si trovano all'interno di una cella frigorifera. Lui, Diane e Henry sono appesi come della carne da macello a dei ganci che scendono dal soffitto dell'ambiente. Una traballante luce elettrica illumina il resto delle numerose provviste alimentari del Lincoln Market, tutte ordinatamente sistemate dal signor Tamlyn ed i suoi due figli.
Seduto su di uno sgabello di legno, Ronald Tamlyn, con addosso la sua giacca invernale sopra gli abiti estivi, osserva tranquillamente il risveglio dei tre col fucile del padre poggiato alla parete metalica dietro di lui.
John fissa il giovane: "Ron... che cavolo stai facendo?"
Henry: "Perché...?"
Diane apre faticosamente gli occhi per ultima ed il freddo intenso della cella frigorifera la fa tremare vistosamente: "Dio, Ron..." 
John: "Dov'è Rebecca, che ne hai fatto di lei?"
Ron rigira tra le mani le due chiavi con le targhette metalliche che i tre avevano hanno recuperato ieri. Con tutta la calma di cui è naturalmente capace, il biondino risponde: "Uno alla volta, una volta: abbiamo tutto il tempo del mondo."
I tre si zittiscono, le loro braccia duolgono a causa dello sforzo a cui sono sottoposte: non resta loro che ascoltare il loro rapitore nella speranza di uscirne vivi.
Dopo aver respirato a pieni polmoni l'aria gelida della cella frigorifera, Ron comincia a discorrere con i suoi prigionieri: "Non ho nulla contro di voi, ragazzi, anzi: vi ho sempre ammirato. Putroppo però, ci troviamo da due parti differenti della staccionata... e siete voi quelli ad essere dalla parte giusta. Cosa può fare un ragazzo come me per saltare dall'altra parte?"
Henry: "Cosa intendi con parte giusta o sbagliata?"
Ron batte il pugno sulla parete metallica della cella, furioso: "Il Club! Il fottuto Club!" poi, tenta di calamarsi con un altro respiro profondo: "Lo vedi cosa mi fai fare, Henry? Bé, stiamo calmi."
Henry: "Che centra il nosto club? Noi non sappiamo nulla!"
Ron si alza dalla sedia e comincia a passeggiare tra i prodotti surgelati: "Il Club è tutto: la nostra città, la nostra vita, il nostro futuro. Anzi, per chi ne fa parte. Perché non mi avete fatto giocare con voi? Per quella diceria sul mio conto? "Spiffera-tutto-Ron", vero? Come vedete, anch'io so tenere i miei segreti ben stretti quando serve."
John: "Ti ho chiesto dov'è Rebecca, l'avete portata in ospedale sì o no?"
Ron fissa negli occhi John: "Rebecca... sai cosa? Non avreste dovuto sparare a mia sorella:  sapete com'è fatta Shelly, è un po' vivace e si così facilmente! C'è rimasta un po' male in effetti. Comunque, la cara Rebecca non sarebbe dovuta tornare a Hidden Creek. Non è colpa mia."
"Sparare a tua sorella...?" John lo guarda come se fosse pazzo.
Diane, sempre tremando, con la voce rassegnata di chi è stato vinto dagli eventi: "Ron... tu sei completamente pazzo."
Henry: "Non abbiamo idea di cosa tu stia parlando!"
John non è più molto sicuro di cosa sia reale: "Non starai parlando di quell'essere... a meno che non fosse davvero un'allucinazione?.
Ron:"No? Dite?" il giovane si avvicina alla porta della cella frigorifera e batte tre colpi alla porta: "Shelly... SHELLY, scendi un secondo."
Si odono dei passi ovattati al di là della pesante porta metallica avvicinarsi ad essa per poi aprirla. I tre possono vedere, davanti a loro, Rachel "Shelly" Tamlyn, la sorella minore di Ron. La giovane, dal viso anonimo ma non sgradevole, normalmente risalta tra la folla per i suoi capelli di un biondo talmente chiaro da essere praticamente bianchi. Una fasciatura al un braccio destro copre una ferita ancora aperta. Shelly non ha perso il suo sorriso che appare molto meno rassicurante sotto la luce elettrica della loro prigione.
Ron accoglie la sorella: "Come procede lassù?"
Shelly: "Ho quasi finito." poi si mette a conversare come se nulla fosse con i tre: "Henry, John, Diane... mi spiace molto per come si sono messe le cose, sono sincera."
Henry: "Come ti sei ferita?
John: "Non dirmelo, eri tu in quella cantina?"
Shelly sorride, leggemente imbarzzata dal momento che John non le rivolge mai la parola normalmente: "Ah... no, non so di che parli. Ci siamo visti poco fa, sulla neve, ricordi?" poi, rivolta a Henry: "potevi darmi la chiave, non vi avremmo legati così."
Henry: "E cosa ve ne fate della chiave?"
Ron: "La chiave apre un altro passaggio, vedremo dove condurrà. Putroppo noi ne possediamo solo una."
John: "Odio ripetermi, ma che ne avete fatto di Rebecca?"
Shelly, sempre con un leggero imbarazzo: "Vedi, Rebecca è morta. Ho dovuto porre fine alla sua sofferenza. Ma non temere, la sua vita verrà onorata: la carne di un membro del Club, seppure non ancora alle cariche massime, ha un valore simbolico."
John sbianca: "Stai dicendo che l'avete uccisa...? 
Diane sente la sua testa esplodere e aggiunge: "J-Jo, non credo che la loro idea si sia fermata allo morte di R-Rebecca..."
Henry: "Carne? Valore simbolico? Siete completamente fuori di testa!"
Ron osserva con uno sguardo parecchio deluso Henry, come se gli stesse cadendo un mito: "Uhm... è un peccato che, quando sei in cima allo steccato, guardando dall'atra parte scopri che le aspettative erano troppo alte..."
John: "Ma perché qui tutti parlano di chiavi? Vi rendete conto di cosa avete fatto!?"
Shelly: "La chiave, la chiave!" dice mostrando quella che porta al collo: "Le chiavi sono la manifestazione di ciò che è astratto..." poi, capendo di essersi espressa male, aspetta che il fratello le vanga in soccorso.
Ron, scocciato dagli interventi della sorella: "In pratica, sono un totem, un feticcio. Potrebbero essere anche delle corna di cervo o dei trami di Pino per quanto ha importanza. Non conta il loro aspetto, sono un catalizzatore per accedere a Hidden Creek, non questa... cittadina."
Henry, esasperato: "Basta con queste stronzate metafisiche e spiegatevi terra terra!"
Ron, offeso dalle parole del suo eroe: "È inutile parlare con chi non vuole capire. Avevo pensato di tenervi in vita fino ad allora, ma mi avete profondamente deluso." poi continua sorridendo alla sorella, che ama profondamente nonostente quel carattere che mal sopporta: "Vivi o morte che siate, non ha importanza: l'unica cosa che conta è che io vi ho catturati e questo vuol dire aver guadagnato diritto di chiedere al The Old Gentlemen's Club di poter entrarne a far parte. Io e Shelley." 
Rachel fruga nella tasca della sua felpa con cappuccio grigia e tira fuori un dischetto di Wooden Nickel: "Siete fortunati, lo sapete? Ma forse anche noi saremo come voi una volta entrati..."
Ron sgrida la sorella: "Stupida: il loro è un dono." si lascia scappare con lo spirito del fanboy che è ancora in lui.
"Aspetta, aspetta! Se volete, possiamo insegnarvi come si fa." John, stremato dal freddo pungente, tenta il tutto per tutto.
A quelle parole, lo sguardo di Ron si accende per un secondo e subito dopo il biondino tenta di assumere nuovamente uno sguardo indifferente: "...si può insegnare?"
Henry: "Noi facciamo parte del club. Solo noi possiamo iniziarvi ai suoi segreti!"
John fissa Ron e la sorella: "Dipende... da cosa sapete già. E poi, tutto ha un prezzo."
Ron si mette a ridere ed esclama: "Allora è così eh? Prima fate finta di non sapere nulla, ora mi dite che potete iniziarci ai misteri dei Vecchi Gentiluomini...!" si rivolge a Shelly: "Vedi che con la minaccia di finire come carne in scatola le persone collaborano?" il giovane si avvicina al suo fucile: "Badate bene però, vi ammiro ma non sono stupido."
John: "Nessuno ti ha dato dello stupido. Ci ha qui, alla tua mercé: non sei stupido. Sto solo dicendo che ci sono cose che valgono più di tre vite. Se ci uccidete adesso, magari sì, entrerete nei favori del club, ma sarete, come dire "gli utlimi arrivati"."
Ron, interessato: "...continua."
John: "Possiamo mostrarvi qualcosa di molto più interessante! Se collaboriamo, ne possiamo uscire tutti vincitori: noi spariamo con le nostre vite e voi fate un'entrata trionfale nel Club."
Henry aggiunge: "Membri onorari e non gli ultimi arrivati."
Diane annuisce stancamente, ormai non sente più la punte delle dita di mani e piedi: "Quello che hai sempre voluto, Ron."
Ronald si passa una mano tra i biondi capelli:"Questo... questo è molto interessante. E sentiamo, cosa dovrei fare per voi?"
John: "Intanto non sarebbe male slegarci e parlare come persone civili..."
Henry: "...Poi ci serve una bacinella acqua calda bollente e degli asciugamani: è come un battesimo, la rinascita a nuova vita."
Ron: "Una cosa alla volta, frenate! Vi tirò giù, ma prima di cominciare, in segno di amicizia, sarete ospiti alla nostra tavola. Solo allora potremo dire di avere un accordo."
In mezzo a tutta la follia, in preda ai peggiori sospetti, John riesce solo a pensare: (Non posso, sono vegetariano.)
Henry, sopraffatto dalla macabra ironia di quella lunga notte: "Immagino la portata principale. Infondo, Rebecca ci aveva invitato a Cena."
Diane perde i sensi, forse per il freddo, forse per l'orrore.

Senza molte cerimonie, Ron e Shelly liberano i tre prigionieri dai ganci che li tenevano sollevati facendoli cadere a peso morto sul pavimento. Ancora in catene, i due Tamlyn li conducono nella stanza adiacente, ossia il rifornito magazzino sotterraneo del Lincoln Market, un tempo lontano l'unico cinema di Hidden Creek. Dalla scala che conduce al  piano terra del negozio dei Tamlyn, filtra la prima luce del mattino. Nella penombra,  ciò che colpisce subito è un cospicuo numero di zaini e vestiti di diverse stagioni ordinatamente appesi in un angolo dello stanzone sotteraneo mentre numerose paia di scarpe sono allineate con la stessa cura sotto di essi. E infine, un vestito bianco imbrattato di sangue giace per terra,  senza aver ancora trovato la sua sistemazione.

Presto, sarà pronta la colazione.

FINE DELLA SESSIONE

LINCOLN MARKET: decima sessione completata!


Il Lincoln Theater dei fratelli Tamlyn fu dal 1910 al '34 il cinema di Hidden Creek, oggi l'edificio è la drogheria della medesima famiglia.

Un netto cambio di genere questa sera in una sessione particolarmente macabra!
Li avevamo lasciati faccia a faccia con il Wendigo la scorsa volta ma la vita dei membri del The Old Gentlemen's Club è sempre un continuo viaggio tra gli anfratti più oscuri di Hidden Creek. Con Rebecca ferita gravemente dall'essere mostruoso, i nostri sono stati colti alla sprovvista da Ron Tamlyn e il suo fucile. Persa conoscenza, poco è bastato ai nostri per accorgersi di essere appena all'inizio dell'orrore... Sessione di rivelazioni questa, dove i segreti di Hidden Creek cominciano a svelarsi mentre nuovi e soprendenti collegamenti si formano davanti ai nostri protagonisti.

Basterà l'arguzia di Henry, John e Diane a salvarli dal clan Tamlyn?

mercoledì 25 giugno 2014

Piange ...il telefono: intermezzo musicale

Visto che ciao ciao Mondiale, vai di musica italiana.

Riprendiamo dopo un bel po' di pausa con gli intermezzi musicali, questa volta nostrani. C'è solo l'imbarazzo della scelta in proposito e allora vai di Domenico Modugno con una canzione del 1975: Piange ...il telefono, un classico della musica italiana che è stato d'ispirazione per un omonimo film, sempre con Modugno, del medesimo anno. Trivia del giorno: la bambina del duetto è Francesca Guadagno, doppiatrice di Heidi tra le tante cose. E niente.


Non ho trovato la copertina in una risoluzione decente, accontentiamoci della statua a Modugno.


Di seguito:


Al prossimo aggiornamento!

HIDDEN CREEK LOG #9: WENDIGO


HIDDEN CREEK LOG #9: WENDIGO

Hidden Creek, 2 Luglio, 1977. 
L'aria si è raffreddata ormai e un leggero vento fa ondeggiare l'erba alta e le fronde degli alberi che animano lunghe ombre in continuo movimento.
I tre amici, passando per la cucina che da sul giardino di quella che era casa Tallmadge, scorgono la giovane ragazza fuori, al chiaro di luna.
Le teorie turbinano nella mente di John... cosa poteva esserci nello scantinato che ha fatto perdere la memoria a tutti? Si ripromette di tornare a esplorare quella stanza alla prima occasione e di annotare qualunque passo avanti nella loro indagine sul taccuino.
Dopo un respiro profondo, per primo Henry esce all'esterno: "Scusa se siamo trasandati, ma abbiamo avuto un problema con il tuo impianto idraulico."
La giovane dai capelli rossi come il fuoco, Rebecca, osserva i tre membri del Club,  umidi e coperti di polvere,  uscire allo scoperto per affrontarla. Con occhi pieni di tristezza, non può che constatare come Hidden Creek non sia cambiata dalla sua assenza. Il bel volto di Rebecca, coperto di lentiggini, mostra una profonda stanchezza che viene da lontano: "Non ci resta che vivere nei ricordi che abbiamo perso... Scusate se non mi sono presentata subito all'appuntamento: non sapevo ancora che i miei genitori fossero morti da anni."
John fa un cenno di saluto verso Rebecca: "Ehilà… mi sa che dobbiamo fare una bella chiacchierata, credo che tu ne sappia più di noi riguardo tutto questo."
Henry: "Se può essere consolatorio, anche noi apprendiamo adesso della dipartita dei tuoi.
Ma dimmi, cosa ci fa un cancello nel tuo seminterrato?"
Diane osserva la giovane con un leggero timore, senza dire nulla.
La ragazza dai capelli rossi prima di iniziare a parlare, lancia ancora uno sguardo indagatore ai tre.
Dopo una manciata di secondi, che paiono un'eternità, si decide a proferire parola: "Non so se posso fidarmi di voi..." la ragazza pare dubbiosa: "è chiaro che non avete la minima idea di chi io sia. Siete ancora le persone che conoscevo?"
John: “Bella domanda, non lo sappiamo neanche noi: abbiamo tutti perso la memoria. Però, in generale, direi che siamo persone di cui ci si può fidare… siamo sempre rimasti uniti e non ci siamo mai traditi. Tieni conto che noi siamo nella tua stessa situazione, noi non sappiamo chi sei tu. Quindi io direi che visto che siamo sulla stessa barca non possiamo che fidarci gli uni degli altri."
Henry: "Ma penso che voglia più fatti che parole, John.
Cosa possiamo fare per dimostrarti la nostra buona fede?"
Rebecca: "per cominciare, potreste dirmi perché questa casa è abbandonata da così tanto tempo... se veramente abbiamo qualcosa in comune,  forse possiamo aiutarci a vicenda a ricordare. Che cosa sapete dirmi riguardo la Festa d'Estate?"
John: "Beh… abbiamo dato una mano per la musica quest’anno. A parte questo, nulla che non dicano i manifesti."
Henry: "La casa da quanto ricordiamo è sempre stata vuota, ma i ricordi della nostra infanzia sono vacui. Da quanto abbiamo visto gli impianti elettrici sembrano essersi bruciati tempo fa."
Rebecca, a John: "No, non mi riferisco al Summer Festival, ma a questo" cautamente estrae dal borsone che porta a tracolla una lettera: " ho ricevuto un invito, a recarmi qui, a Hidden Creek." la ragazza osserva per un istante la casa e la sua spettrale sagoma: "Impianti bruciati? Non ricordo nulla di simile... Ho vissuto a Hidden Creek la maggior parte della mia vita. Quattro anni fa mi traferii... lontano. Quando ho lasciato questa casa, eravate anche voi presenti: ricordo come se fosse ieri  la festa di addio che mi preparaste."
Diane è ancora sulla difensiva, quella ragazza non le dice nulla di buono.
John: "Quella lettera… anche noi ne abbiamo ricevuta una. Mentre ti aspettavamo qui, qualcuno ce l’ha mandata fuori da sotto la porta della casa. Se ti sei trasferita quattro anni fa, potremmo aver perso la memoria pochissimo dopo, noi che siamo rimasti qui. Probabilmente era prima di questo misterioso “blackout”. Tu ne hai sentito parlare?"
Rebecca ci riflette un secondo: "No... non mi dice nulla." la ragazza sventola leggermente la lettera: "fino a ieri, credevo mi aveste mandato voi quella lettera... avete qualche idea a riguardo?"
John: “Io direi che dovremmo metterci da qualche parte e raccontarci tutto dal principio. Tu ci racconti la storia fino alla nostra amnesia e noi ti raccontiamo gli ultimi giorni, che sono stati piuttosto densi. Forse vedendo tutto insieme ci sarà tutto chiaro.”
Rebecca annuisce: "non vedo altra possibilità."
John si volta verso gli altri con un sorrisino: “Beh, allora… tutti da Wisco? Io avrei fame…”
Henry: "Anche se è notte fonda, forse non è il caso di frequentare luoghi pubblici: la vecchia chiesa secondo me è la scelta migliore per vedere se riaffiorano ricordi."
John, che aveva fame davvero, sbuffa: “Hai ragione… ma almeno qualcosa da asporto?”
Henry: "Sì può fare, ma non possiamo entrare conciati così."
Mentre i due amici parlano di cibo, Rebecca si avvicina a Diane.
La sorella di Casey si limita a dire: "...non avvicinarti troppo, ok?"
Rebecca fa finta di non aver sentito e torna a parlare agli altri due: "non so cosa abbiate deciso, ma vorrei andarmene il prima possibile da qui. Non c'è più nulla che mi leghi a questa casa."
John: “Beh, allora facciamo così’, andiamo alla vecchia chiesa e raccontiamoci tutto. Se volete io corro a casa a prendere un po’ di vestiti di ricambio e del cibo e ci si vede la’.”
Henry: "Meglio non dividerci: dopo quanto è successo stasera è meglio restare il più riuniti possibile. Andiamo a casa tua e mangiamo qualcosa, e poi andiamo alla chiesa."
John: “D’accordo allora! Venite da me, ci si cambia e ci si fa qualcosa di caldo."

I quattro si incamminano nella notte illuminata dagli sparsi lampioni.
Ormai sono quasi le tre e nel piccolo quartiere residenziale non si sente un rumore.
La residenza dei VanDreel dista a cinque minuti di cammino. Le luci della casa sono accese, gli amici di John devono ancora essere svegli. Superato il furgoncino dei DALETH, i quattro si ritrovano davanti alla porta d'ingresso.
Henry: "Già, mi ero dimenticato dei tuoi "ospiti" ."
John: “Se volete prendo due cose, aspettatemi qui, poi si va.”
Henry: "Direi che è la soluzione migliore."
"Ok! Torno subito." Cercando di dare il meno nell’occhio possibile, John entra in casa.
All'interno, si sentono provenire dei rumori dal salotto: Edward e gli altri non si sono nemmeno accorti che John è rientrato, tanto sono intenti ad essere ubriachi assieme alla rossa Hollie. 
John va in camera, si cambia al volo, prende dei vestiti per Henry e Diane cacciandoli in uno zaino. Arraffa anche un po’ di cibo per tutti in cucina.
Prima di uscire, John lancia un'occhiata per vedere che cosa stanno combinando quegli altri.
A quanto pare, al centro della stanza, i cinque sono stravaccati per terra, intenti a fumare mentre il simpatico pastore tedesco di Edward è accucciato sul divano; una fitta nebbia avvolge la scena.
Alla vista di questa scena, John annuisce rassicurato ed esce: nulla di sospetto dunque.
Diane tira un sospiro di sollievo non appena vede spuntare John.
Henry: "Immagino che dentro stiano facendo i baccanali."
John: “Nah, niente di particolare.”
Diane si avvicina a John, impaziente: "andiamo, forza..."
John: “Sì, sì, andiamo. Vi ho anche preso un cambio.” si incammina.
Henry si avvicina a Diane per sussurrargli qualcosa mentre gli altri si sono avviati: "Vedo che sei decisamente guardinga nei confronti di questa presunta vecchia amica. Direi che è un atteggiamento sensato. Dovrai essere i miei occhi."
Diane annuisce e si limita a sussurrare all'amico: "Non ha ancora chiesto di Casey..."

Hidden Creek riposa nella notte prima del grande evento.
Passando per le vie popolate solo da qualche turista attardatosi, si può ammirare chiaramente tutta la preparazione in vista della Summer Fest: gli stand sono tutti allineati, i tendoni fissati, l'illuminazione e gli altoparlanti sistemati. Quasi si respira l'odore di fritto e si ode la confusione della folla solo osservando la scena. Persino la piccola ruota panoramica spunta da lontano, pronta per i sette giorni più intensi dell'anno nella tranquilla cittadina.
Giunti al limitare della zona abitata, accese le torce il gruppetto prosegue verso la chiesa abbandonata, loro primo rifugio segreto. Qui, dove regna la desolazione, solamente il rumore dei gufi e di altre creature notturne li accompagna.
Rebecca osserva l'edificio abbandonato: "Era una vita che non venivo qui..." mormora.
“Dove sei stata tutto questo tempo?” chiede John
Rebecca: "Dall'altra parte dell'Oceano: ho studiato in Francia per quattro anni. Non sono mai tornata in America fino a questa Estate. Mi mancava casa forse, ma allo stesso tempo sentivo di dover restarne il più lontano possibile."
John: “E non avevi più sentito niente... dai tuoi?"
Henry annuisce assumendo un'espressione che ricorda quella del padre: "Esatto, è strano."
Sul volto di Rebecca compare un'espressione via via più preoccupata: "Non mi sono mai  posta questa domanda... fino a questa notte."
Henry: "Quindi è come se nel subconscio sapessi che erano morti, o qualcosa del genere."
Rebecca: "Credo che sia... più complicato: in effetti, più  parlo con voi e più mi accorgo di non sapere come ho vissuto laggiù per tutti questi anni."
John: “Interessante, forse è un po’ come quello che è successo a noi. Ma tu non sei mai tornata a Hidden Creek, com’è possibile? A meno che tu in realtà tu non sia mai stata in Francia…"
Henry alle parole dell'amico pone subito una domanda diretta: "Dicci qualcosa in francese."
Rebecca guarda i due, poi una goccia di sudore le riga il bel volto: "io... non lo so."
John: “Hai qualcosa che prova che sei stata lì? Ti avranno timbrato il passaporto no?"
Rebecca posa il suo borsone per terra e fruga al suo interno tirando fuori il passaporto. Con una certa ansia lo sfoglia e lo mostra agli altri: "Vedete..."
Il documento della ragazza sembrerebbe tutto regolare a prima vista, ma difficilmente è una prova conclusiva.
Henry: "E il nome Casey, ti dice nulla?"
Rebecca: "Casey..." la ragazza fa un pausa, è in evidente imbarazzo: "Lo so già perché non è con voi: ho parlato con tuo padre, oggi."
John “C’è un paradosso… tu ti ricordi tutto di prima di partire? Il nostro vecchio club, perché si è sciolto, eccetera?”
Rebecca: "f-forse, sì..." la giovane sente di essere tra persone estranee ormai e forse, dallo sguardo che Diane ha assunto in questo momento, persino ostili: "...non vi ricordate?" dice con un filo di voce: "il club si è sciolto perché... perché..." un ultimo respiro profondo: "perché alla fine non siamo riusciti a salvarci."
John “Da cosa?”
Henry: "Salvarci?"
Diane: "Di che cosa cazzo stai parlando?”
Il sudore continua a colare lentamente appiccicare i rossi e lunghi capelli alla fronte di Rebecca: "Non siamo qui per questo? Credevo che non dovessimo più parlarne... quando, quel giorno, decidemmo di percorrere il Sentiero, non sapevamo forse dove ci avrebbe condotto?" la ragazza è evidentemente agitata: "quando cominciammo a giocare a qualcosa di proibito, non lo facemmo forse perché ne eravamo convinti? Mi riferisco... a ciò che si nasconde lì sotto."
A questo punto, Rebecca comincia ad indietreggiare.
John: “Rebecca? Che c’è?"
Henry: "Cosa ti spaventa?"
Rebecca: "D-dobbiamo andarcene di qui, non lo capite? Dobbiamo lasciare Hidden Creek adesso."
John: “Perché? E comunque non possiamo abbandonare Casey. Sappiamo che è ancora qui da qualche parte."
Diane, forse la più impaurita del gruppo, afferra Rebecca per un braccio e cercando di fare la dura: "Vedi di darci un taglio, ok?!"
Rebecca questo punto si libera dalla stretta di Diane e comincia a correre verso il resto degli edifici abbandonati, verso il buio.
John “Ehi, ferma!” John si lancia all’inseguimento.
Diane si mette a correre dietro all'amico: “Henry, forza!”
Henry non se lo fa ripetere due volte.
John: “Non scappare, dobbiamo restare uniti!”
Rebecca lascia cadere il suo borsone e con tutta la forza che ha in corpo corre alla cieca nell'oscurità delle vie abbandonate al limitare di Hidden Creek. Davanti a lei, si apre un vicolo tra gli scarni edifici diroccati in mattoni rossi un tempo parte dell'originaria Maple Avenue. Rebecca decide di infilarsi nello stretto passaggio abbandonato sparendo per un istante dalla vista dei tre.
John: “Ferma, che fai?!”
I tre amici arrivano all'imboccatura del vicolo. La tremolante luce delle loro torce elettriche illumina, in fondo alla stradina, uno steccato di legno leggermente rialzato, quanto basta a poter far passare un persona strisciando sotto di esso.
“Io la seguo.” John si china per passare sotto lo steccato: “Rebecca aspetta!”
Henry comincia ad essere titubante, dopo l'esperienza della recinzione nel seminterrato.
Aspetta Diane prima di decidersi.
John non ci pensa due volte: non devono perdere Rebecca, potrebbe avere tutte le risposte.
Diane si ferma, non ha intenzione di infilarsi in quel pertugio.
John si accovaccia per strisciare sotto lo steccato.
Trovandosi altezza dell'asfalto consumato può gettare uno sguardo a ciò che si trova oltre: il terreno è umido e, dalla parte opposta della steccato si vede, benché poco chiaramente, Rebecca, accovacciata per terra nell'angusto spazio oltre l'ostacolo.
John fa un sospiro, ripensando per un attimo a quello che era successo l’ultima volta che era stato lui in testa al gruppo. Ma sa di essere fatto così. E inizia a strisciare.
Diane, dall'altra parte: "Jo, lascia perdere!"
Strisciando, il giovane si ritrova in quello che sembra essere poco più che un claustrofobico interstizio tra due edifici. Lungo i mattoni rossi, coperti di muschio, cola dell'acqua. Rebecca è raggomitolata contro il muro opposto allo steccato, ad un paio di passi da John.
“Rebecca…” John cerca di essere rassicurante: “Che succede? TI prego non scappare così, possiamo capire cos’è successo se restiamo uniti."
La ragazza alza lo sguardo verso John: "ho solo avuto... sono a posto, lo giuro." tenta di rialzarsi, ma non ci riesce.
John le tende una mano.
Henry: "John, trascinala qui!"
John grida dall’altra parte dello steccato con tono seccato: “Per favore, Henry! E’ solo spaventata!"
Rebecca allunga la mano per afferrare quella del giovane.
John, cercando di apparire il più sereno possibile, si rivolge a Rebecca: “Ok, ora andiamo, abbiamo un sacco da raccontarci…”
Henry: "Non restate li dentro, potrebbe essere pericoloso!"
La giovane a questo punto si lascia trascinare da John fuori da quell'angusto nascondiglio.
John: “Perché ti eri venuta a rintanare proprio qua, poi?” John le sorride cercando di rassicurarla.
Il vestito bianco di Rebecca è ridotto ad uno straccio, proprio come il loro, le sue ginocchia sono leggermente sbucciate. Lo sguardo della giovane è tornato normale, la sua è un'espressione impaurita ma presente.
Diane guarda con profondo fastidio quell'estranea limitandosi a lanciare un'occhiata a Henry.
Rebecca: "...non lo so, Jo, è qualcosa che facevamo una volta..."
John: “Aspetta, intendi che qui ci venivamo un tempo? Aspettatemi qua, vado a dare un’occhiata meglio, potrebbe esserci qualcosa là dietro, visto che sembra che seppellissimo di tutto…”
John torna un attimo dietro lo steccato per ispezionare bene la zona.
Diane mormora: "Jo, dannazione..." poi lancia uno sguardo fulminante a Rebecca: "Ci mancava solo questa. Henry, vedi di starle vicino: se non scappa di nuovo è meglio per tutti."
John è tornato nuovamente al di là dello steccato nell'angusto anfratto tra i palazzi abbandonati. Solo fanghiglia e muschio: tranne qualche sasso e calcinaccio non sembra esserci nulla di interessante.
John sente cadere una goccia dall'alto sulla sua schiena, il ragazzo sbuffa e cerca di capire se stia per piovere. Guardando in alto, sembra proprio che il tempo sia peggiorato nelle ore in cui hanno avuto la perdita di memoria dopo essere scesi in quella maledetta cantina.
Forse domani il primo giorno della festa sarà rovinato?
Difficile a dirsi.

Anche Henry e Diane sentono delle gocce piovere dal cielo.
John ritorna dall’altro lato dello steccato: “Presto, corriamo a ripararci!”
Mentre John si riunisce agli altri tre, mentre le gocce di pioggia continuano a cadere, un essere si staglia nella penombra all'inizio del vicolo. Una figura slanciata, decisamente troppo alta per essere quella di un uomo,  ricoperta da un lungo indumento di pelliccia grigia, forse di lupo, che la ricopre quasi completamente dalla testa fino ai piedi. Quest'apparizione inquietante osserva da sotto il suo cappuccio i quattro giovani membri del The Old Gentlemen's Club, immobile.
Henry chiede un po' intimorito: "C-chi sei?"
John non sa bene che fare, osserva la figura e avanza lentamente verso di essa cercando di far riparare le due ragazze dietro di sé.
Appena il figlio dei VanDreel comincia ad avanzare, l'essere  alza il suo grande braccio  portandolo in avanti come a ordinare al giovane di fermarsi. I quattro possono bene osservare questo grande arto superiore, lungo e scheletrico, dalla pelle cianotica ed emaciata  coperta di fitti peli bianchi almeno fino al gomito, sporgere dal lungo e pesante indumento, chiaramente rozzo e cucito assieme in modo approssimativo. Una mano enorme, dalle dita lunghe e affusolate, a palmo aperto completa il gesto autoritario.
John si ferma tentando di mantenere il sangue freddo: “D’accordo, d’accordo... non temere, non vogliamo fare nulla… chi sei?"
La figura si presenta ora, piegandosi leggermente verso i tre, con un'altezza apparente quattro metri, o forse di più. La sua dimensione sfugge in qualche modo alla normale percezione dell'occhio. Senza proferire verbo, la terrificante apparizione ritrae il braccio.
John si chiede se si tratti di un’altra incomprensibile illusione, come la tigre: “Lo state vedendo tutti, vero…?"
Diane annuisce senza proferire parola, pietrificata del terrore.
"Sì." risponde Henry atterrito dall'essere.
A pochi metri dai quattro ragazzi impauriti, l'essere respira profondamente: un respiro potente ma allo stesso tempo affannato. D'improvviso, vengono percorsi da un profondo brivido, come se la temperatura stesse calando vertiginosamente. La pioggia che continua a cadere, d'un tratto sembra essersi fatta più consistente, grumosa. 
Sembra nevischio.
Henry, preso coraggio, si rivolge direttamente all'apparizione: "Dicci chi o cosa sei! Per favore, abbiamo bisogno di risposte!"
L'essere gigantesco comincia ad avvicinarsi ulteriormente: i suoi piedi, consumati fin quasi alle ossa, pesantemente strisciano sull'asfalto eroso del vicolo abbandonato producendo uno stridio sinistro. Ad ogni passo, il nevischio continua a cadere sempre più fitto. Ormai a una manciata di metri di distanza, l'essere tenta di comunicare: le sue grandi braccia scheletriche si allungano entrambe in avanti porgendo, con questo gesto solenne, quello che pare essere un saluto. Non sono comprensibili le intenzioni di questa creatura venuta da un luogo così remoto eppure così vicino, ma, in quel preciso istante,  in lontananza la luce di una torcia si scorge tra i vecchi edifici abbandonati.
John cerca di imitare l’essere: forse rispondere al saluto può aiutarli a stabilire un contatto; Henry compie il medesimo gesto. 
Alla vista dei movimenti mimati, l'essere si toglie il pesante cappuccio calcato sopra il suo capo mostrando infine le proprie fattezze: lunghi capelli bianchi, che si confondono ad una pelliccia dello stesso colore, incorniciano un volto dalla pelle rattrappita; piccoli occhi incavati nel tessuto ormai mummificato osservano con sguardo alieno il gruppo. Quella grande bocca, priva di labbra,  si spalanca mostrando due file di denti acuminati emettendo un sibilo ghiacciato che risuona come un avvertimento.
Non una voce, ma il suono del freddo vento che soffia tra gli alberi della foresta negli inverni più rigidi.

FINE DELLA SESSIONE