venerdì 27 giugno 2014

HIDDEN CREEK LOG #10: LINCOLN MARKET


HIDDEN CREEK LOG #10: LINCOLN MARKET

A pochi metri dai quattro ragazzi impauriti, l'essere respira profondamente: un respiro potente ma allo stesso tempo affannato. D'improvviso, vengono percorsi da un profondo brivido, come se la temperatura stesse calando vertiginosamente. La pioggia che continua a cadere, d'un tratto sembra essersi fatta più consistente, grumosa. 
Sembra nevischio.
Henry, preso coraggio, si rivolge direttamente all'apparizione: "Dicci chi o cosa sei! Per favore, abbiamo bisogno di risposte!"
L'essere gigantesco comincia ad avvicinarsi ulteriormente: i suoi piedi, consumati fin quasi alle ossa, pesantemente strisciano sull'asfalto eroso del vicolo abbandonato producendo uno stridio sinistro. Ad ogni passo, il nevischio continua a cadere sempre più fitto. Ormai a una manciata di metri di distanza, l'essere tenta di comunicare: le sue grandi braccia scheletriche si allungano entrambe in avanti porgendo, con questo gesto solenne, quello che pare essere un saluto. Non sono comprensibili le intenzioni di questa creatura venuta da un luogo così remoto eppure così vicino, ma, in quel preciso istante,  in lontananza la luce di una torcia si scorge tra i vecchi edifici abbandonati.
John cerca di imitare l’essere: forse rispondere al saluto può aiutarli a stabilire un contatto; Henry compie il medesimo gesto. 
Alla vista dei movimenti mimati, l'essere si toglie il pesante cappuccio calcato sopra il suo capo mostrando infine le proprie fattezze: lunghi capelli bianchi, che si confondono ad una pelliccia dello stesso colore, incorniciano un volto dalla pelle rattrappita; piccoli occhi incavati nel tessuto ormai mummificato osservano con sguardo alieno il gruppo. Quella grande bocca, priva di labbra,  si spalanca mostrando due file di denti acuminati emettendo un sibilo ghiacciato che risuona come un avvertimento.
Non una voce, ma il suono del freddo vento che soffia tra gli alberi della foresta negli inverni più rigidi.
John spera ancora che la creatura possa non essere aggressiva e cerca di sembrare rassicurante: "Aspetta, vogliamo solo parlare, non siamo nemici..."
Henry: "Vogliamo solo sapere chi sei... Perché succedono queste stranezze?"
L'apparizione, alle parole dei due giovani, che risuonano flebili nel vento d'Inverno, compie un balzo in avanti. Le enormi mani rattrapite  dai lunghi artigli affilati, con tutta la rapida violenza che sono in grado di sprigionare, si muovono fulminee verso di loro.
John e Henry si scansano di lato mentre l'essere prosegue il suo scatto furioso contro chi non è riuscito a reagire tempestivamente.
Diane, a un passo di distanza, osserva impotente gli artigli del mostruoso essere conficcarsi nelle sottili e sinuose braccia di Rebecca.
Un urlo di dolore sovrasta il rumore del vento.
La sorella di Casey non può che gettarsi a terra nel disperato tentativo di allontanarsi il più possibile.
"Rebecca!" John getta il suo zaino contro il mostro, sperando di distrarlo dalla ragazza.
L'essere lo schiva istintivamente mollando la presa: il sangue di Rebecca scorre copioso mischiandosi con la neve fresca, le sue braccia presentano delle profonde lacerazioni.
Henry estrae la pistola e la punta verso la creatura, intimando con tono deciso:"Fermati!"
L'ignoto aggressore si volta verso Henry al suono della sua voce: sembra intentere quelle parole, o forse sta studiando il piccolo uomo che le sta pronunciando.
Rebecca, riversa sul suo stesso sangue, è in preda a degli spasimi mentre l'essere si posiziona con un solo lungo passo tra lei e gli altri tre giovani.
Malgrado il freddo innaturale Henry è coperto di sudore: "Ora allontanati!"
La grande mano scheletrica con uno scatto fulmineo afferra Rebecca per la testa, sollevando la giovane, ormai priva di conoscenza, da terra.
Henry estrae la chiave del Giardino impugnandola con una mano: "Lasciala andare!"
La creatura avvicina la mano libera verso di lui, come per voler prendere la chiave.
John si rivolge all'amico: "Attento, non ti avvicinare troppo!"
Henry: "Vuoi questa? Lasciala andare e dacci delle informazioni!"
John si avvicina anch'esso all'apparizione e cerca di farle capire di voler prendere Rebecca.
Come lo zaino lanciato poco prima, la creatura scaglia il corpo esanime di Rebecca, la potenza è tale da scaraventare la ragazza direttamente tra le braccia del figlio dei VanDreel.
John stringe tra le braccia Rebecca, pallida e ormai in fin di vita, con tutte le sue forze tenta di allontarnasi da quel maledetto vicolo.
L'essere con un altro grande passo è di fronte a Henry: l'imponente statura sovrasta il giovane, la sua mano è tesa a cercare di prendere la  piccola chiave.
Henry, continuando a puntare la pistola contro l'imponente bersaglio, ritrae la mano con la chiave: "Non ancora! Se sei un essere senziente e dotato di intelligenza, rispondi alle nostre domande! Puoi comunicare con noi?"
"Non può: spechi il fiato, Henry." Una voce nella piccola tormenta di neve.
Dall'oscurità della notte, la luce che incedeva appena visibile in lontananza è ormai all'imboccatura del vicolo. Davanti a John, con Rebecca tra le braccia, una compare una figura familiare: con la sua solita espressione tra l'annoiato e il sarcastico, Ron si piazza all'ingresso del vicolo. Il giovane regge una torcia elettrica in una mano e, nell'altra, un fucile da caccia. Quel fucile che si trova dietro al bancone dell'emporio di famiglia. Alla voce di Ron, l'apparizione quieta smette di tentare di comunicare con Henry.
"Ron...?" John, sorpreso, stringe istintivamente a sé Rebecca: "Dammi una mano, dobbiamo portarla in ospedale!"
Ron lascia cadere la torcia per terra e, imbracciato il fucile con due mani, lo punta contro John: "Non così in fretta, Jo."
Henry si volta verso il nuovo arrivato: "Ron, cosa cazzo fai?!"
John è impietrito: "Cosa stai facendo?"
Il biondiccio Ron, la cui carnagione cadaverica appare ancora più grigia nella scarsa luminosità dalla notte, si limita a dire: "Posa la ragazza e stenditi a terra vicino a lei." poi, a voce più alta: "Henry, Diane, fate lo stesso se non volete che pianti una pallottola in testa al caro Jo."
Diane, che per tutto il tempo è stata dietro all'amico, trattiene a stento la rabba, mista con la paura: "Ron, pezzo di merda..." esclama prima lanciare uno sguardo a Henry, il quale si stende senza reagire a terra. La giovane fa lo stesso nel freddo gelido e nell'umiliazione.
John obbedisce lentamente: "Ron, ti prego! Rischia di morire dissanguata se non la portiamo in ospedale..."
Ron, in tono glaciale: "Non temete, non mi servite molto da morti."
Il giovane negoziante del Licoln Market, lo spaccio di Hidden Creek in fondo a Maple Avenue, si limita a fissare i quattro a terra prima di fare un cenno al misterioso essere.
John, Henry e Diane, a faccia nella fanghiglia prodotta dal nevischio, sentono di stare perdendo conoscenza: una sesazione di vuoto, quel vuoto dei loro ricordi.
In un ultimo sforzo disperato, John si rivolge all'essere: "Ti prego, aiutaci..."
Henry in un ultimo scatto di orgoglio, impugna nuovamente la pistola dell'agente Prince tenta di puntarla verso Ron:"Fermati, non costringermi a farlo!"
Ma vista si affievolisce, concentrarsi sul presente diviene sempre più difficoltoso.
Diane è ormai priva di sensi.
Henry con un filo di voce sussurra alla creatura: "Smettila!"
John: "Henry, fermalo..."
Nell'ultimo appiglio di coscienza, Herry spara alla cieca verso la creatura.
L'ultima cosa di hanno ricordo, è il proiettile che perfora la gigantesca creatura.
John fa a tempo a vedere l'essere incassare il colpo e sollevare Diane e Henry da terra portandoli via prima di chiudere gli occhi.
Poi, più nulla.

Buio e freddo.
Un ronzio insistente, il ronzio di una luce elettrica, li accoglie al loro risveglio. Immediatamente, provano la chiara sensazione di essere legati mani e piedi con strette catene, sospesi senza poter poggiare i piedi a terra. D'un tratto, tutta la fatica accumulata in quei giorni  li assale, così come un dolore attanagliante alla testa. Come nel risvegliarsi da una specie di letargo, possono aprire gli occhi.
John si guarda intorno faticosamente.
Il freddo che lo tormenta, subito lo riporta alla realtà del luogo: si trovano all'interno di una cella frigorifera. Lui, Diane e Henry sono appesi come della carne da macello a dei ganci che scendono dal soffitto dell'ambiente. Una traballante luce elettrica illumina il resto delle numerose provviste alimentari del Lincoln Market, tutte ordinatamente sistemate dal signor Tamlyn ed i suoi due figli.
Seduto su di uno sgabello di legno, Ronald Tamlyn, con addosso la sua giacca invernale sopra gli abiti estivi, osserva tranquillamente il risveglio dei tre col fucile del padre poggiato alla parete metalica dietro di lui.
John fissa il giovane: "Ron... che cavolo stai facendo?"
Henry: "Perché...?"
Diane apre faticosamente gli occhi per ultima ed il freddo intenso della cella frigorifera la fa tremare vistosamente: "Dio, Ron..." 
John: "Dov'è Rebecca, che ne hai fatto di lei?"
Ron rigira tra le mani le due chiavi con le targhette metalliche che i tre avevano hanno recuperato ieri. Con tutta la calma di cui è naturalmente capace, il biondino risponde: "Uno alla volta, una volta: abbiamo tutto il tempo del mondo."
I tre si zittiscono, le loro braccia duolgono a causa dello sforzo a cui sono sottoposte: non resta loro che ascoltare il loro rapitore nella speranza di uscirne vivi.
Dopo aver respirato a pieni polmoni l'aria gelida della cella frigorifera, Ron comincia a discorrere con i suoi prigionieri: "Non ho nulla contro di voi, ragazzi, anzi: vi ho sempre ammirato. Putroppo però, ci troviamo da due parti differenti della staccionata... e siete voi quelli ad essere dalla parte giusta. Cosa può fare un ragazzo come me per saltare dall'altra parte?"
Henry: "Cosa intendi con parte giusta o sbagliata?"
Ron batte il pugno sulla parete metallica della cella, furioso: "Il Club! Il fottuto Club!" poi, tenta di calamarsi con un altro respiro profondo: "Lo vedi cosa mi fai fare, Henry? Bé, stiamo calmi."
Henry: "Che centra il nosto club? Noi non sappiamo nulla!"
Ron si alza dalla sedia e comincia a passeggiare tra i prodotti surgelati: "Il Club è tutto: la nostra città, la nostra vita, il nostro futuro. Anzi, per chi ne fa parte. Perché non mi avete fatto giocare con voi? Per quella diceria sul mio conto? "Spiffera-tutto-Ron", vero? Come vedete, anch'io so tenere i miei segreti ben stretti quando serve."
John: "Ti ho chiesto dov'è Rebecca, l'avete portata in ospedale sì o no?"
Ron fissa negli occhi John: "Rebecca... sai cosa? Non avreste dovuto sparare a mia sorella:  sapete com'è fatta Shelly, è un po' vivace e si così facilmente! C'è rimasta un po' male in effetti. Comunque, la cara Rebecca non sarebbe dovuta tornare a Hidden Creek. Non è colpa mia."
"Sparare a tua sorella...?" John lo guarda come se fosse pazzo.
Diane, sempre tremando, con la voce rassegnata di chi è stato vinto dagli eventi: "Ron... tu sei completamente pazzo."
Henry: "Non abbiamo idea di cosa tu stia parlando!"
John non è più molto sicuro di cosa sia reale: "Non starai parlando di quell'essere... a meno che non fosse davvero un'allucinazione?.
Ron:"No? Dite?" il giovane si avvicina alla porta della cella frigorifera e batte tre colpi alla porta: "Shelly... SHELLY, scendi un secondo."
Si odono dei passi ovattati al di là della pesante porta metallica avvicinarsi ad essa per poi aprirla. I tre possono vedere, davanti a loro, Rachel "Shelly" Tamlyn, la sorella minore di Ron. La giovane, dal viso anonimo ma non sgradevole, normalmente risalta tra la folla per i suoi capelli di un biondo talmente chiaro da essere praticamente bianchi. Una fasciatura al un braccio destro copre una ferita ancora aperta. Shelly non ha perso il suo sorriso che appare molto meno rassicurante sotto la luce elettrica della loro prigione.
Ron accoglie la sorella: "Come procede lassù?"
Shelly: "Ho quasi finito." poi si mette a conversare come se nulla fosse con i tre: "Henry, John, Diane... mi spiace molto per come si sono messe le cose, sono sincera."
Henry: "Come ti sei ferita?
John: "Non dirmelo, eri tu in quella cantina?"
Shelly sorride, leggemente imbarzzata dal momento che John non le rivolge mai la parola normalmente: "Ah... no, non so di che parli. Ci siamo visti poco fa, sulla neve, ricordi?" poi, rivolta a Henry: "potevi darmi la chiave, non vi avremmo legati così."
Henry: "E cosa ve ne fate della chiave?"
Ron: "La chiave apre un altro passaggio, vedremo dove condurrà. Putroppo noi ne possediamo solo una."
John: "Odio ripetermi, ma che ne avete fatto di Rebecca?"
Shelly, sempre con un leggero imbarazzo: "Vedi, Rebecca è morta. Ho dovuto porre fine alla sua sofferenza. Ma non temere, la sua vita verrà onorata: la carne di un membro del Club, seppure non ancora alle cariche massime, ha un valore simbolico."
John sbianca: "Stai dicendo che l'avete uccisa...? 
Diane sente la sua testa esplodere e aggiunge: "J-Jo, non credo che la loro idea si sia fermata allo morte di R-Rebecca..."
Henry: "Carne? Valore simbolico? Siete completamente fuori di testa!"
Ron osserva con uno sguardo parecchio deluso Henry, come se gli stesse cadendo un mito: "Uhm... è un peccato che, quando sei in cima allo steccato, guardando dall'atra parte scopri che le aspettative erano troppo alte..."
John: "Ma perché qui tutti parlano di chiavi? Vi rendete conto di cosa avete fatto!?"
Shelly: "La chiave, la chiave!" dice mostrando quella che porta al collo: "Le chiavi sono la manifestazione di ciò che è astratto..." poi, capendo di essersi espressa male, aspetta che il fratello le vanga in soccorso.
Ron, scocciato dagli interventi della sorella: "In pratica, sono un totem, un feticcio. Potrebbero essere anche delle corna di cervo o dei trami di Pino per quanto ha importanza. Non conta il loro aspetto, sono un catalizzatore per accedere a Hidden Creek, non questa... cittadina."
Henry, esasperato: "Basta con queste stronzate metafisiche e spiegatevi terra terra!"
Ron, offeso dalle parole del suo eroe: "È inutile parlare con chi non vuole capire. Avevo pensato di tenervi in vita fino ad allora, ma mi avete profondamente deluso." poi continua sorridendo alla sorella, che ama profondamente nonostente quel carattere che mal sopporta: "Vivi o morte che siate, non ha importanza: l'unica cosa che conta è che io vi ho catturati e questo vuol dire aver guadagnato diritto di chiedere al The Old Gentlemen's Club di poter entrarne a far parte. Io e Shelley." 
Rachel fruga nella tasca della sua felpa con cappuccio grigia e tira fuori un dischetto di Wooden Nickel: "Siete fortunati, lo sapete? Ma forse anche noi saremo come voi una volta entrati..."
Ron sgrida la sorella: "Stupida: il loro è un dono." si lascia scappare con lo spirito del fanboy che è ancora in lui.
"Aspetta, aspetta! Se volete, possiamo insegnarvi come si fa." John, stremato dal freddo pungente, tenta il tutto per tutto.
A quelle parole, lo sguardo di Ron si accende per un secondo e subito dopo il biondino tenta di assumere nuovamente uno sguardo indifferente: "...si può insegnare?"
Henry: "Noi facciamo parte del club. Solo noi possiamo iniziarvi ai suoi segreti!"
John fissa Ron e la sorella: "Dipende... da cosa sapete già. E poi, tutto ha un prezzo."
Ron si mette a ridere ed esclama: "Allora è così eh? Prima fate finta di non sapere nulla, ora mi dite che potete iniziarci ai misteri dei Vecchi Gentiluomini...!" si rivolge a Shelly: "Vedi che con la minaccia di finire come carne in scatola le persone collaborano?" il giovane si avvicina al suo fucile: "Badate bene però, vi ammiro ma non sono stupido."
John: "Nessuno ti ha dato dello stupido. Ci ha qui, alla tua mercé: non sei stupido. Sto solo dicendo che ci sono cose che valgono più di tre vite. Se ci uccidete adesso, magari sì, entrerete nei favori del club, ma sarete, come dire "gli utlimi arrivati"."
Ron, interessato: "...continua."
John: "Possiamo mostrarvi qualcosa di molto più interessante! Se collaboriamo, ne possiamo uscire tutti vincitori: noi spariamo con le nostre vite e voi fate un'entrata trionfale nel Club."
Henry aggiunge: "Membri onorari e non gli ultimi arrivati."
Diane annuisce stancamente, ormai non sente più la punte delle dita di mani e piedi: "Quello che hai sempre voluto, Ron."
Ronald si passa una mano tra i biondi capelli:"Questo... questo è molto interessante. E sentiamo, cosa dovrei fare per voi?"
John: "Intanto non sarebbe male slegarci e parlare come persone civili..."
Henry: "...Poi ci serve una bacinella acqua calda bollente e degli asciugamani: è come un battesimo, la rinascita a nuova vita."
Ron: "Una cosa alla volta, frenate! Vi tirò giù, ma prima di cominciare, in segno di amicizia, sarete ospiti alla nostra tavola. Solo allora potremo dire di avere un accordo."
In mezzo a tutta la follia, in preda ai peggiori sospetti, John riesce solo a pensare: (Non posso, sono vegetariano.)
Henry, sopraffatto dalla macabra ironia di quella lunga notte: "Immagino la portata principale. Infondo, Rebecca ci aveva invitato a Cena."
Diane perde i sensi, forse per il freddo, forse per l'orrore.

Senza molte cerimonie, Ron e Shelly liberano i tre prigionieri dai ganci che li tenevano sollevati facendoli cadere a peso morto sul pavimento. Ancora in catene, i due Tamlyn li conducono nella stanza adiacente, ossia il rifornito magazzino sotterraneo del Lincoln Market, un tempo lontano l'unico cinema di Hidden Creek. Dalla scala che conduce al  piano terra del negozio dei Tamlyn, filtra la prima luce del mattino. Nella penombra,  ciò che colpisce subito è un cospicuo numero di zaini e vestiti di diverse stagioni ordinatamente appesi in un angolo dello stanzone sotteraneo mentre numerose paia di scarpe sono allineate con la stessa cura sotto di essi. E infine, un vestito bianco imbrattato di sangue giace per terra,  senza aver ancora trovato la sua sistemazione.

Presto, sarà pronta la colazione.

FINE DELLA SESSIONE

1 commento:

  1. Log breve ma intenso! Come al solito, ho corretto qua e là delle frasi che rilette suonavano male e fatto qualche piccola aggiunta.

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