venerdì 4 luglio 2014

HIDDEN CREEK LOG #11: FAMILY



HIDDEN CREEK LOG #11: FAMILY


Senza molte cerimonie, Ron e Shelly liberano i tre prigionieri dai ganci che li tenevano sollevati facendoli cadere a peso morto sul pavimento. Ancora in catene, i due Tamlyn li conducono nella stanza adiacente, ossia il rifornito magazzino sotterraneo del Lincoln Market, un tempo lontano l'unico cinema di Hidden Creek. Dalla scala che conduce al  piano terra del negozio dei Tamlyn, filtra la prima luce del mattino. Nella penombra,  ciò che colpisce subito è un cospicuo numero di zaini e vestiti di diverse stagioni ordinatamente appesi in un angolo dello stanzone sotterraneo mentre numerose paia di scarpe sono allineate con la stessa cura sotto di essi. E infine, un vestito bianco imbrattato di sangue giace per terra,  senza aver ancora trovato la sua sistemazione.

Incatenati a degli agganciati su di una parete, i tre vengono fatti sedere attorno ad un tavolo metallico che è più un piano da lavoro che altro. Ron fissa gli sventurati membri del Club e poco dopo annuncia: "vado a preparare la colazione. Shelly, dai un'occhiata tu ai nostri ospiti, finché non abbiamo discusso a dovere di questa faccenda, è sempre meglio essere cauti... capirete vero?" 
Ron strizza l'occhio verso i tre mentre sale di sopra. La sorella minore, sempre con espressione spensierata, si mette il fucile da caccia a tracolla: "allora, avete fame?"
Henry digrigna i denti: "Dipende dal tipo di appetito. Vedo che qui consumate molta carne. Scegliete i turisti, per caso?"
John si guarda intorno: "Abbastanza... comunque non capisco bene perché stai facendo tutto questo, Shelly. Voglio dire, il Club non è proprio un posto per le ragazze, senza offesa."
Diane lancia un'occhiataccia a John.
Shelly si avvicina fermandosi al limite della possibilità di movimento offerta dalla catena: "Vedi, Jo... Scusa, posso chiamarti "Jo"? Comunque, il Club non mi interessa molto ad essere sincera. Ma se Ron dice che è il posto migliore per noi, io gli credo. Si è sempre preso cura di me dopo tutto."
John: "Sì, ma vedi, dopo che sarete entrati nel club, le cose potrebbero cambiare. Quello che possiamo insegnarvi, possiamo insegnarlo a una persona sola e dopotutto mi sembra palese chi è che comanda qui tra voi due. Quando lui entrerà nel club, non so se avrà più così tanto tempo per te. Certo, magari le cose potrebbero essere diverse se fossi tu a imparare a essere come noi, ma la vedo dura. Sicuramente Ron vuole la conoscenza per sé. E come biasimarlo?"
Henry: "Esatto... Non possiamo iniziare due persone contemporaneamente. Ogni candidato deve aspettare l'unanimità di tutti i membri del Club per essere ammesso. Se tuo fratello venisse accolto, non è detto che, una volta entrato, patrocinerebbe per te. Del resto, con quello che poi fare, per lui saresti una concorrente più che un alleata."
L'espressione di Shelly cessa di essere amichevole: "Ron... Ron non mi abbandonerebbe mai. Lui è l'unica persona che mi capisce, che sa cosa ho passato. Che sa chi sono veramente. E nono stante questo mi accetta senza alcun pregiudizio. È lui il capo famiglia, non quello scansafatiche del nostro vecchio."
Diane, cercando di fare leva sui sentimenti di Rachel: "Ti capisco, Shelly: devi voler molto bene a tuo fratello. La famiglia è molto importante, hai ragione."
L'espressione della ragazza dai capelli bianchi si fa meno dura: "Già, la famiglia... per questo mi fido di lui."
Diane da un leggero colpo di gomito a Henry e aggiunge: "bisogna proteggere la propria famiglia, anche dalle scelte sbagliate, dai guai..."
Henry: "Puoi essere sicura che questa sia la scelta migliore per lui? Lui potrebbe cambiare, diventare bugiardo come noi: una persona che tiene più al club che alla famiglia."
I tre possono scorgere il dubbio negli occhi della giovane.
John: "Certo, poi dipende. Non lo so, Diane, dovresti saperlo meglio di me... Casey è entrato prima di te nel club, com'è stata?" John lancia un'occhiata alla ragazza, sperando capisca.
Diane: "Ah, Casey. Anche se è scomparso e mi importa minimamente: noi abbiamo il Club, è quello che conta. E sono sicura che fosse così anche per Casey: quando ho cambiato città a lui non ha fatto né caldo né freddo. Pensa che fui io a proporre la sua candidatura! Questa è la gratitudine..."
John fa una risatina: "E io che pensavo che il club non fosse una cosa da donne..." poi rivolto a Shelly: "Vedi, questo è l'atteggiamento giusto per stare nel club... tuo fratello farà faville, credimi."
Henry: "Tuo fratello o te, dipende da chi ammetteremo."
Shelly è inorridita dalle parole dei membri di quel club: "io... credevo che foste amici!"
Henry: "Amici? chi se ne importa dell'amicizia. Il club, il potere: ecco cosa conta nella vita!"
John annuisce: "Quando vedi certe cose, le prospettive cambiano... prima che imparassimo quello che abbiamo imparato? Forse lo eravamo, ma dopo?"
Diane: "se vuoi il mio consiglio, mettiti già il cuore in pace: tuo fratello non è diverso da noi. Dopo tutto, non è forse sempre stato il suo sogno fin da ragazzino quello di entrare nel Club?"
Shelly sta per ribattere quando si sentono con chiarezza dei passi provenire dal negozio al piano di sopra. Dopo poco le scale scricchiolano sotto i passi di Ron.
John sbuffa: "Comunque è troppo tardi, vada come vada hai perso la tua occasione per tenertelo stretto, ormai."
Shelly, in evidente agitazione, si avvicina di fretta a John e gli altri sperando che il fratello non la senta: "che cosa devo fare?" 
John: "Mettilo fuori combattimento e vieni via con noi, ti mostreremo qualcosa dopo cui non potrà più lasciarti andare."
Henry: "L'essenza del vero Potere, il potere di controllare vita e morte delle persone di questo piccolo borgo."
John guarda l'amico alzando le spalle: "Lascia perdere Henry: a lei interessa solo tenersi il suo fratellino... la butteranno fuori appena la vedranno in faccia nel club e Ron sarà il primo a convincerli."
Shelly si volta subito di scatto quando il fratello, che reca tra le mani un grosso vassoio, fa la sua comparsa da oltre gli scaffali del vasto scantinato.  Ron poggia il vassoio sul tavolo da lavoro vicino ai tre reclusi: "Come vi avevo promesso, ecco la colazione. E scusate se vi tengo ancora incatenati."
Davanti ai tre, su di un piatto sono impilati diversi croque-monsieur da cui cola copiosamente il saporito formaggio del Wisconsin mentre il prosciutto fa capolino dal pane grigliato. Per accompagnare la colazione, Ron ha portato anche dei cartocci del latte, già gentilmente aperti per facilitare la consumazione: "Attenti, sono ancora belli caldi." dice prendendo uno dei croque-monsieur in mano.
"Grazie, Ron..." John lancia uno sguardo verso Shelly facendo trapelare la sua delusione.
Diane ne prende uno in mano e, cercando di non farsi notare da Ron, addenta solo il pane e il formaggio tentando di non sfiorare il prosciutto.
Henry prende un cartone di latte e se lo porta vicino: "Grazie della colazione Ron, vorremmo parlare della tua ammissione al club se non ti dispiace. Siediti!"
Mentre Ronald si accomoda vicino ai tre, lasciando Shelly in piedi, la sorella lancia a sua volta uno sguardo a John muovendo leggermente la testa in segno di assenso.
John le fa un sorriso come ad approvarla, poi si volta verso Ron, tentando di distrarlo: "Vieni, siediti qui vicino a me." dice in tono amichevole posizionandosi in modo che Ron dia le spalle a Shelly.
Henry: "Il rituale di iniziazione prevede l'introduzione di un solo membro per volta. Quindi, vorremmo sapere da te, che sei il più quotato e stimato tra noi per la tua determinazione e risolutezza, chi vuoi che entri per prima tra voi due. Tieni conto che per essere iniziati al club, c'è bisogno dell'unanimità dei membri, e che ognuno di noi ha potere di veto sulle nuove nomine."
Ron non trattiene l'eccitazione: "ottimo, ottimo... ovvio che sarò io il primo."
Shelly, si limita solo a dire: "Vorrei essere io la prima. Ron, per favore, fammi en-"
"E chissenefotte di cosa cazzo pensi. Shelly, sorellina, lasciami parlare con Henry, ok? Andrà tutto bene, vedrai." la interrompe Ron senza neppure voltarsi.
A quelle parole, senza fare il minimo rumore, Shelly toglie il fucile da tracolla e, dopo averlo brandito come una mazza da baseball, colpisce il fratello col calcio dell'arma.
Un colpo secco, tanto basta.
Ron, colpito con violenza, perde conoscenza stendendosi sul tavolo e rovesciando i cartocci del latte. Diane si scansa il più velocemente possibile per evitare che il latte le coli addosso.
John annuisce, soddisfatto: "Ammetto che mi stupisci, Shelly. Ora andiamo via di qua. Ci slegheresti per favore? Tanto sai che non possiamo nulla, hai persino un fucile."
Henry: "John, almeno chiedigli se vuole entrare nel club dopo questa splendida dimostrazione di determinazione."
John getta un'occhiata a Ron: "La risposta penso sia scontata..."
Shelly punta il grosso fucile da caccia contro i tre: "Dovete promettermi un cosa: ci lascerete in pace. Non voglio altro che vivere la mia condizione lontano da tutti, solo questo. Promettetelo..." la ragazza lancia uno sguardo gelido come il ghiaccio: "...o vi giuro che vi ammazzo come bestie. Voi e le vostre famiglie. La mia famiglia per le vostre, va bene questo patto?"
John cerca di mantenere il sangue freddo e annuisce: "D'accordo."
Henry: "Basta che ci lasci la chiave: appartiene al Club."
La ragazza, reggendo con una mano il fucile, va ad allentare le catene che li tengono imprigionati quanto basta perché possano liberarsi da soli. Shelly poi si allontana e mostra la chiave che porta al collo: "Potete prendere la vostra roba, è lì in fondo, ma questa non posso darvela."
John va verso il suo zaino e recupera tutte le sue cose.
Anche Diane fa lo stesso e, trattenendo l'angoscia, afferra anche la sacca di Rebecca e se la carica in spalla.
Shelli getta ai piedi di Henry le due chiavi che Ron aveva loro sottratto.
Henry riprende le riprende: "Perché non possiamo?"
Shelly: "Le chiavi non appartengono al Club, non potete fregarmi su questo."
John sussurra a Diane: "Guarda un po' in quella sacca cosa c'è, magari qualcosa di utile."
Diane replica, sempre sottovoce "porto direttamente via tutto... dobbiamo andarcene il prima possibile di qui: ha un fucile, cazzo..."
John finisce di controllare il suo zaino: "Lasciale la sua chiave, Henry: le appartiene, del resto."
Henry: "Non ho chiesto di darmela, ho chiesto perché ti serve."
Shelly: "Questa è la Chiave dell'Inverno. E tanto ti basti, Henry." dice facendo segno con la canna del fucile di andarsene verso le scale.
Henry: "Capisco, ora possiamo andare."
John si avvia verso le scale: "Sai che ti troveranno e fin tanto che avrai quella chiave non potrai mai startene da sola con il tuo fratellino. Pazienza, immagino che dopo tutto certe cose non si possono abbandonare quando diventano parte di noi, anche se si deve sacrificare tutto il resto... Noi ne sappiamo qualcosa."
Shelly: "A-aspetta!"
John si volta con aria vagamente stupita.
La ragazza: "Che cosa sapete che io non so? Di tutto questo, intendo."
John: "Una cosa la so di certo, girare con una di quelle al collo non ti farà vivere una vita né serena, né tranquilla. Fossi in te, se volessi quello che vuoi tu, mi caricherei Ron in spalla e me ne andrei via da qui."
Henry: "E anche in fretta. Certo, senza la chiave il discorso cambierebbe."
Diane, che è accanto a John, tira l'amico per la manica lacera della sua camicia: stanno giocando con il fuoco adesso.
"Pazienza, comunque capisco." John spinge l'amica davanti a sé e continua a salire la scala.
Shelly: "Io... ho bisogno di questa chiave..." dice con voce amara.
La giovane guarda il fratello, ancora riverso sul tavolo, per qualche istante: "Ora andatevene, prima che mi penta di aver colpito l'uomo che amo di più al mondo."
Diane, già al pian terreno del Lincoln Market, fa dei gesti inconsulti ai due per farli muovere il più velocemente possibile: "volete anche invitarla per Natale? Cazzo, Jo, quella è completamente fuori di testa, potrebbe veramente cambiare idea e scuoiarci tutti."
John, dall'alto della scala, lascia scivolare nel magazzino sotterraneo un ultimo consiglio: "La gente a volte pensa che il potere sia cercare di avere qualcosa in più, ma il più grande potere è riuscire a fare a meno di certe cose." in un momento di lucida follia gli sembra di aver letto questa cosa in un libro di facili perle di saggezza zen.
"Smettila di rivelare i nostri segreti e andiamo." il figlio del Capo Kincaid raggiunge per ultimo la sommità della scala chiudendo dietro di sé la porta di servizio metallica.

All'interno del negozio della famiglia Tamlyn, la luce di una limpida mattinata d'Estate, il primo giorno di festa tanto atteso, filtra dalle serrande abbassate. I tre Vecchi Gentiluomini si ritrovano a camminare tra gli scaffali ricolmi di prodotti alimentari dalle scatole colorate tutte ordinatamente allineate in previsione di un afflusso maggiore di clienti nei prossimi sette giorni. L'orologio dal vetro incrinato di Diane segna ormai le sette e qualcosa.
John si avvia all'uscita sul retro del locale sperando che sia aperta, ma non riesce a smettere di pensare alla chiave attorno al collo di Rachel: "Diane, non so perché ma voglio quella chiave..."
Diane: "Io a questo gioco non voglio partecipare, Jo: guarda dove ha portato Ron e Shelly. Noi non siamo "quel" Club, non dovremmo dimenticarlo."
John, di fronte alla porta sul retro, lancia un'occhiata gelida alla ragazza: "Intanto potresti dimostrare un po' di riconoscenza: ci siamo salvati la pelle là sotto. Poi, che ti piaccia o no, in questo gioco ci siamo dentro... o ti sei scordata di Casey?"
Diane rimane profondamente ferita dalle parole di John VanDreel: forse, le menzogne raccontate a Shelly non erano poi così fantasiose. Senza controbattere, non appena questi apre la porta, la ragazza segue John portando il peso della sacca di Rebecca.
John si rende conto delle parole pronunciate: "Scusa. Non so che mi prende, forse è qualcosa che ho dimenticato, ma stanno succedendo troppe cose e non voglio più brancolare nel buio."
Henry, appena dietro Diane: "Almeno non siamo stati mangiati. Mi spiace per il povero cristo a cui toccheranno costolette di Rebecca."
John è infastidito dalle parole dell'amico: "Henry, cazzo, ma come puoi scherzare su una cosa del genere? Vedete? È questo a cui mi riferisco, stiamo cambiando e non mi piace. È per questo che voglio capire: voglio essere sicuro di non diventare come quella gente... e di non esserlo stato."

Nella penombra sul retro del Lincoln Market, l'aria ancora fresca di una brezza appena accennata risveglia Henry, John e Diane dalla notte più lunga delle loro vite. Dall'altra parte di Red Oak Road, davanti a loro, il verde del prato che circonda la Chiesa di Saint Joseph ed i suo cimitero, animato da uno stormo di ghiandaie azzurre che cantano tra le quercie mentre Jeff, il vecchio e corpulento sacrista, è intento come ogni mattina a spazzare il sagrato. Con il viso segnato da profonde occhiaie, i membri superstiti del The Old Gentlemen's Club incedono senza meta sul viale che riconduce alla Pine Street, le autovetture di chi è già arrivato per la Summer Fest in paese allineate ai bordi della strada.
Diane: "Dobbiamo riposare... ho la testa che mi scoppia... questa notte mi è sembrata così irreale, un lungo incubo da cui siamo appena usciti..."
Henry: "Andiamo alla vecchia chiesa, dormiremo li per oggi."
John: "La scorsa volta stavamo andando lì e ci hanno trovato, mi sa che abbiamo bisogno di un nuovo posto. Dovremo cambiare le nostre abitudini temo."
Henry: "Allora troviamo una delle vecchie case abbandonate e entriamo dentro."
John cerca di pensare: "Un posto qualunque, esatto... Che poi mi chiedo, la prima chiave cos'era? “La Fonte”... la seconda... “il Giardino”? Le chiavi sembrano essere collegate al loro nome... come “l'Inverno”..."  "Dov'è che c'è un giardino a Hidden Creek? Voglio dire, tutti qui abbiamo un giardino!"
Diane, con voce esausta, ormai con i nervi a fior di pelle: "Dobbiamo tornare a casa... non possiamo fare così, abbiamo tutti una famiglia. Jo, dacci un po' di tregua... datti un po' di tregua."
John in effetti si rende conto di essere esausto: "Forse hai ragione. Magari se ci riposiamo oggi potremmo rivederci di pomeriggio. Credo che ci vedremmo più chiaro."
Henry: "Ok, allora ognuno a casa sua: riposiamoci e rifocilliamoci, dato che siamo digiuni, e vediamoci verso le cinque a casa di John."
John: "Allora... ci si vede più tardi... e Diane, scusa ancora per prima, non so che mi è preso. Penso che siamo tutti molto stanchi e abbiamo visto cose troppo strane oggi."
Diane: "Anch'io mi devo scusare: non ho saputo rendermi conto in che mondo mio fratello si fosse cacciato..." gli occhi della ragazza guardano per terra ripensando ai giorni passati: "tutto questo tempo e forse non ho mai conosciuto veramente Casey."
John le mette una mano sulla spalla e cerca di farle coraggio: "Forse lui sta cercando di fuggirne quanto noi, solo che noi l'abbiamo solo capito più tardi."
Diane è rincuorata dalle parole di Jo. La sorella di Casey da una pacca sulla sacca di Rebecca: "vedrò cosa c'è al suo interno, se trovo qualcosa di rilevante ve lo farò sapere appena ci rivediamo."
Henry: "Anche io mi devo scusare per la battuta di prima: era di pessimo gusto, ma il mio umorismo lo è sempre stato infondo... forse."
John sospira: "Sapete qual è la cosa che mi fa più paura ragazzi? Mi chiedo che persone fossimo quattro anni fa. Quei due pazzi... sembrava quasi che ci stessero... ammirando. Questo è ciò che mi fa più paura. Qualsiasi cosa accada, cerchiamo di non dimenticare chi siamo, ok?"
Diane annuisce: "Già, forse non voglio sapere cosa abbiamo dimenticato. Forse, è meglio così."
Henry: "Io invece voglio saperlo. Dobbiamo sapere chi eravamo per capire cosa ci ha fatti diventare così."
Diane all'ultima affermazione di Henry non risponde, non convinta delle parole dell'amico.
John: "Mi chiedo inoltre cosa sia il dono di cui parlavano... è qualcosa che dobbiamo scoprire. Qualsiasi cosa sia, per quanto Shelly si sia come trasformata in quel mostro è come se noi sapessimo qualcosa di molto più prezioso..."
Ormai giunti all'incrocio principale di Hidden Creek, i tre si salutano, ognuno diretto alla propria abitazione.

Alle dieci in punto, l'inizio ufficiale dell'evento, la grande apertura dell'Hidden Creek Summer Festival, giunto alla sua seconda edizione. Come prevedibile, nelle strade e i viali, molti di essi chiusi al traffico, si è riversata la marea di turisti e partecipanti provenienti da tutto il Wisconsin e oltre che l'Hidden Creek Heritage Committee si è preparata ad accogliere tutta la Primavera. Persino i ranger del Parco Nazionale confinante con la cittadina e la riserva indiana hanno già fatto la loro comparsa per aiutare il Distretto di Polizia a pattugliare le strade in questa giornata così straordinaria per il paese della Forest County. Sul palco allestito ieri davanti alla Town Hall, il sindaco Isaia Myhers pronuncia il suo solito e superfluo discorso d'apertura, accanto a lui il capo Kincaid e i due uomini di Chiesa rappresentanti delle confessioni presenti in città. Finalmente, terminate le frasi di circostanza delle autorità locali, il vero promotore della Summer Fest, il signor Warren Lazard in persona, fa la sua fugace comparsa sul palco e tra i numerosi stand prima di dileguarsi assieme alla sua scorsa verso la sua tana a Villa Løvenskiold.

Henry non ha trovato i suoi a casa, come d'altronde aveva previsto: entrambi così dediti a Hidden Creek, il loro lavoro in questa settimana li terrà costantemente impegnati. Una nota in cucina, attaccata alla superficie metallica del frigo con un magnete-ricordo della loro vacanza sul Lago Michigan di qualche anno fa, è firmata nome e cognome da suo padre. E questo non può che far presagire guai: 
"Questa è l'ultima volta che sgarri a questa maniera, Henry Kincaid. 
Non hai fatto l'unica cosa che di avevo chiesto gentilmente di fare: stare alla larga da quel tuo club. 
Io e tua madre siamo molto delusi."
Dopo una lunga doccia, Henry si sdraia sul letto con la testa rivolta verso il cuscino e ripensando al biglietto lasciatogli dal padre mormora: "Ipocrita."

John, una vola tornato a casa, subito nota che il disordine della baldoria dei DALETH è magicamente scomparso dalle stanze lasciando il posto a dell'inaspettata ma gradita pulizia. Sul tavolo del salotto, anche per lui un biglietto, firmato semplicemente "Ed e i ragazzi": 
"Grazie di tutto, Jo, vienici a trovare tu la prossima volta. 
PS: passa da Wisco verso il tardo pomeriggio, c'è una persona che vorrebbe parlati."
John fissa il biglietto e annuisce: "Bravi ragazzi..." poi si dirige verso la sua camera, praticamente sigillando tutte le porte che trova lungo il percorso. Gli viene anche in mente qualcosa dagli appunti di Prince riguardo la vecchia sede del club. Si ripromette di dirlo agli altri, potrebbe essere un buon punto da cui ripartire: "Chissà dov'è un giardino, qui..."

Ad accogliere Diane, non appena entrata nella villetta bianca dei Turner, il padre Benjamin, ancora in vestaglia. L'ansia dell'uomo per la figlia, rimasto tutta la notte sveglio ad aspettarla, non fa che aumentare non appena la vede rientrare ridotta in quel modo, con il vestito stracciato su cui malamente ha calcato un maglione di John per poter andare in giro. Diane, senza dire nulla, cosa che ormai capita sempre più spesso, si limita a fare un cenno di saluto con la mano per andare a rifugiarsi in camera sua. Ben Turner non può che rendersi complice di quel silenzio impostogli, sperando che la figlia non segua le orme di Casey.
Diane, Rovesciata la sacca sul pavimento della sua vecchia stanza, presa dalla curiosità perversa che ha colpito i suoi due amici si mette a frugare tra gli effetti personali di Rebecca, trattenendo a stento le lacrime. Non per la ragazza, in fondo una sconosciuta, ma per la realizzazione di non aver più l'innocenza di una volta. Tra qualche capo di abbigliamento e il necessario per un breve viaggio, anche se la ragazza aveva affermato di venire dall'Europa, Diane trova il portafogli di Rebecca: a parte qualche dollaro, ecco comparire una vecchia fotografia spiegazzata. Diane tenta di non rovinarla maggiormente e, con tutta l'attenzione di cui è in grado, la osserva. Gli occhi castano chiaro della sorella di Casey sgranano di fronte all'unica fotografia del The Old Gentlemen's Club esistente: accanto a cinque ragazzini della sperduta cittadina nel cuore del Wisconsin posa, nel suo completo elegante, un uomo alto dai capelli grigi ma dall'aspetto giovanile.
Un uomo di nome Warren Lazard.

FINE DELLA SESSIONE

1 commento:

  1. Al solito, oltre ad aver aggiustato i dialoghi, ho allungato le descrizioni specialmente nella parte finale del Log.

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